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Enzo Espa: dopo quarant'anni di ricerca esce il dizionario sardo-italiano (di Giulio Paulis)

di Giulio Paulis

Chi legga le pagine del presente dizionario, anche senza conoscere personalmente il suo autore, Enzo Espa, non fatica a convincersi che egli incarna la figura gioiosa del vocabolarista descritta da Hulbert, piuttosto che quella penitenziale proposta dallo Scaligero. Si capisce facilmente che egli prova anzitutto un sottile piacere intellettuale nell’impegnarsi nel suo lavoro, sia quando traduce in sardo citazioni e frasi celebri di Shakespeare, Tagore, Anacreonte, Zenone, Giusti, Vittorini, Quasimodo, ecc. per inserirle a fianco di brani tratti da muttos e canti a ballo, sia quando abbandona l’italiano come lingua della descrizione lessicografica per passare al sardo allorché occorre enumerare sos lúmenes chi si dan a su diàulu, sia ancora quando conia alcuni neologismi come maitusu ‘capellone’e fivetu, faivetu ‘bambino nato in vitro e embryo transfer (FI.V.E.T.)’ o si compiace di produrre un certo effetto di straniamento in chi consulta il dizionario alla voce dorno e incontra accostate l’una all’altra l’espressione sa domo comune europea, che dà al sardo un nuovo respiro soprannazionale, e la locuzione proverbiale sa domo de Giorgi Còvulas: intras chin-d-una canna e no nd’ettas mancu unu sedattu ‘la casa di Giorgio Corbula: entri con una canna e non getti a terra manco un setaccio’ (perché è spoglia), che riconduce i riferimenti della lingua al più modesto ambito dei ristretti confini territoriali in cui essa è stata tradizionalmente e continua a tutt’oggi a essere impiegata.
D’altra parte Enzo Espa, che non è un lessicografo di professione, è stato agevolato nella sua fatica dalla condizione particolare in cui egli si trova rispetto a una delle difficoltà principali che deve affrontare il vocabolarista, quella-per esprimerci in termini semplici-di “dover sapere tutto”. Infatti, come è noto, sebbene il lessicografo si concentra sulle proprietà delle unità lessicali più pertinenti al suo lavoro (soprattutto sul significato lessicale nei suoi vari aspetti, ma anche sulle caratteristiche grammaticali di tali unità), tuttavia per condurre a buon fine la sua impresa egli deve prendere in considerazione non solo l’intera struttura della lingua in questione, ma anche tutti gli aspetti della cultura della comunità che parla quella lingua.
Da questo punto di vista Enzo Espa non teme confronti: pochi hanno investigato e conoscono intimamente la cultura sarda come lui e sono in grado di associare una conoscenza di questo tipo a una completa padronanza della lingua.

Com’era inevitabile, gli interessi di ricerca di Espa nel campo della demologia e dell’antropologia della Sardegna hanno lasciato un’impronta decisiva nella selezione dei materiali raccolti nel presente repertorio: senza voler assolutamente disconoscere o sottovalutare gli altri apporti (Espa trae gli esempi da propri rilevamenti nell’area linguistica nuorese, logudorese e barbaricina, da uno spoglio dei testi degli autori antichi e moderni di lingua logudorese e nuorese e dall’inestinguibile serbatoio della poesia popolare), è giusto considerare preminente e di grande importanza il contributo che egli reca alla documentazione di proverbi, espressioni proverbiali, indovinelli, frasi fatte, detti, modi di dire, locuzioni idiomatiche, blasoni popolari, poleonimi ed emici, nomi di battesimo e simili. Notevoli sotto il profilo della dimensione linguistica, questi materiali - sparsi un po’ ovunque nel corpo dell’opera e riuniti in apposite sezioni nella seconda parte del volume - hanno un rilievo ancora maggiore per il loro contenuto storico e antropologico: leggende scomparse, superstizioni antiche, riti, costumanze, giochi popolari, mestieri caduti in disuso, rivalità tra paesi vicini, in una parola tutta la psicologia, tutta la vita intima e sociale, tutta la storia dei nostri avi hanno lasciato le loro tracce in queste formule ellitiche che si conservano all’interno di quella che viene considerata l’area antropologica protosarda.
Per quanto l’opera sia volta a documentare il lessico delle varietà linguistiche più conservative dell’isola, parlate entro lo spazio delimitato a Sud dalla linea Dorgali-Nuoro-Barbagia settentrionale-Ottana-Macomer-Cuglieri e a Nord dal dominio linguistico sassarese e gallurese, Espa non intende restituire una lingua “imbalsamata”. Perciò accoglie termini internazionali e prestiti italiani, come detrimentu, diágnosi, dialettale, dialettologia, dialógicu, diálogu, diámetru, diápason, diapositiva, dicastériu, dicitura, didascalia, dienneà, ecc. egualmente registra ed esemplifica espressioni come jet set (non saludat prus ca fachet parte de su jet set de Terranova), pro unu punzu ‘e dóllaros ‘per un pugno di dollari’ o s’índice de ascurtu ‘l’indice di ascolto’. Quando è possibile, questi elementi estranei al patrimonio lessicale tradizionale sono calati all’interno delle categorie ideologiche della lingua e della cultura sarde, con effetto di felice contrasto fra la modernità del denotato e l’arcaicità del designato: tale è il caso della frase su dóllaru est currende che crapa cónchina, con riferimento agli sbalzi della divisa statunitense nel mercato dei cambi.
Molti sono gli informatori che hanno collaborato alla realizzazione di questa fatica di Espa ed è possibile leggerne il lungo elenco nella prefazione. Tra essi non mancano intere classi delle scuole medie inferiori, cui si deve il recupero di dati utili, come, per esempio, la locazione a soddu s’abbratzata ‘a un soldo la fascina’, usata a Orosei per significare lo scarso valore di un oggetto o di una persona. Un particolare che fa ben sperare per le sorti future della lingua sarda, un ulteriore titolo di merito del lavoro di Enzo Espa.

 



Pubblicato su Salpare il Novembre 2000


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