Home Page   |   Biografia   |    I Libri   |    Stampa   |    Pensieri in libertà   |    I Racconti   |    Album   |    Altri Scritti   |    Contatti

I Racconti

IL DONO IN SARDEGNA (A Enrico)

Nel volgere di un secolo il volto della Sardegna è profondamente cambiato sotto tutti gli aspetti.
Nell’800 e prima del ‘900 abbiamo sofferto l’isolamento dal continente europeo.
La Sardegna era chiusa in se stessa non solo in confronto alle altre nazioni ma anche rispetto a se stessa. Basterebbe pensare alle lingue che si sono  sviluppate al suo interno: Sassari-Sennori-Sorso-Castelsardo-Ossi-Tissi-Alghero. Sono un esempio significativo di tutto questo.Nell’ 800 e primo ‘900 e si può dire fino alla prima guerra mondiale, la Sardegna aveva caratteri che la distinguevano da tutte le altre regioni.

Circolava pochissima moneta perchè gli scambi commerciali erano estremamente difficili.
L’economia, dicono gli studiosi, era quella di sussistenza. Questo vuol dire che c’era una sottilissima trama di scambi di merci operati direttamente da piccoli o improvvisati commercianti. Un vero e proprio mercato esisteva nei due o tre giorni delle feste padronali. Per molte merci il baratto era l’unica forma di vendita e acquisto. Dai paesi della costa i popolani si indirizzavano verso i paesi della montagna per vendere i fichi d’india, merce importante soprattutto per preparare il vin cotto, indispensabile per certi dolci augurali.
Lo scambio comportava in questo caso il computo numerico: un fico d’india, una patata.

Interessante la vendita dei campanacci del gregge. Anche questa avveniva per baratto. I sonagli venivano scambiati non nel paese ma nelle campagne e questo uso si è conservato quasi fino ai nostri giorni.
I venditori ricevevano formaggio ma soprattutto ricotta mustia, cioè ricotta umida affumicata che una volta veniva utilizzata in tutte le case per la confezione delle minestre serotine. In’altra forma di baratto assai importante era quella del grano scambiato col formaggio.
Interessante nel rapporto tra famiglie e persone era una volta il sistema dei doni, che comportava il regalo e l’obbligo di ricambiarlo.

Chi allevava un maiale all’interno del paese o della sua periferia inviava infinite porzioni ai parenti e ai vicini di casa- questo comportava una doverosa restituzione con altri generi prodotti o acquistati dalle famiglie.
Nel sistema circolare dei doni vigeva il regalo del canestro pieno di grano o di lana bianca o di mandorle o di altra frutta secca. Era chiamato “il presente”. Questo regalo veniva ricambiato in infinite altre forme soprattutto coi dolci. Il vino, dato che una volta le vigne erano familiari e piccole veniva di solito distribuito alle famiglie imparentate e amiche.
Molti doni venivano fatti rispettando il principio che “il bene produce il bene”. Così in molti paesi vigeva il costume che il primo olio, l’olio della prima macinata doveva essere distribuito ai poveri, ai bisognosi, ai parenti e alla Chiesa, questo olio era detto l’olio della lampada. All’interno dei paesi vigeva la legge della mutua assistenza e alle famiglie in precarietà venivano inviati cibi a tutte le occasioni. Una di queste forme era detto “il canestro”, “sa canistedda”. Poteva contenere circa dieci chili o litri di cibo e alle famiglie bisognose veniva inviata una quantità di cibi assortiti; e non doveva mai mancare una bottiglia di vino.

Una forma di mutua assistenza si aveva anche nei confronti di chi subiva il furto del gregge. Per cui i pastori del paese o dintorni facevano la “paradura” cioè l’offerta di un capo ovino selezionato.
Interessante era anche l’elemosina detta del prigioniero, che si faceva quando una persona veniva colpita dalle ire della legge.
Tutto questo significa che il sistema di vita dei paesi mancava di forme di scambi economici complessi.
Ma vigeva, meravigliosa, la legge della carità.

 



Pubblicato il inedito, aprile 2010

Ritorna all'indice dei racconti