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Articolo di Neria de Giovanni

E´ arduo stabilire «cosa sia di più »
Enzo Espa nella sua attività artistica:
etnologo, critico di cose sarde, o interamente e semplicemente narratore.
Da decenni presenta se stesso e la propria azione culturale, almeno in tre specificità: come etnologo e studioso di tradizioni popolari ha publblicato ricerche sul campo atte a lumeggiare la storia della cultura popolare sarda attraverso i proverbi (I Proverbi sardi, dei parlanti la lingua sarda logudorese, 1981, due volumi.), attraverso le usanze religiose (Benedizioni nuziali sarde, 1977), attraverso l’analisi dei testi delle canzoni popolari (Limbudu, Cantones, 1979); come critico di arte e Letteratura sarde ha affrontato la produzione poliedrica di Enrico Costa (Archivio Pittorico, 1976) e di Salvatore Satta (Nuoro in Peléa, 1978); infine, e ultimo ma soltanto per questo elenCO, Enzo Espa è narratore: dai Racconti Nuoresi ( I 977) a Gli Arcobaleni (1980) a Il Pastore e Caterina (1983). Nei suoi racconti segue con fedeltà i temi e i modi di una scrittura Che affonda le proprie radici, la propria ragion d’essere, nel modus vivendi et cogitandi dell’uomo sardo. Così la tripartizione dell’attività di Espa da noi proposta, trova la sua unitarietà nell’appartenenza ad una cultura vissuta prima ancora di essere studiata e descritta. Anzi, studiata e descritta proprio in quanto vissuta.
Enzo Espa nasce, infatti, a Nuoro, nel cuore della Barbagia, il 3 marzo del 1919. Si allontana dalla sua città per ragioni di studio, in quanto frequenta l’Università a Pisa e poi si laurea a Roma con Natalino Sapegno. Tornato in Sardegna, motivi familiari e di lavoro lo conducono, nel 1952, a stabilirsi a Sassari, dove insegna tutt’oggi. Però i legami con la Barbagia rimangono fortissimi sempre; fino a poco tempo fa, racchiusi anche simbolicamente nella figura della madre che più che novantenne restava a Nuoro e con la sua presenza motivava il figlio a continui ritorni. Ma a ben guardare per chi, come Espa, non si è mai allontanato «culturalmente» dalla sua gente, non è un ritornare ma un tornare al mondo dell’infanzia con capacità intellettive che possono decifrare quanto, prima, invece, era vissuto con meraviglia e timore.
Nelle pagine di Espa, siano esse di narrativa o di ricerca etno-antropologica, si sente la partecipazione emotiva di persona che è stata formata anche dalla frequentazione quotidiana con quelle che alcuni definiscono « superstizioni » , ma che noi preferiamo chiamare segnali di una cultura «altra», sommersa, rispetto a quella nazionale dell’uomo economico.

Nella scrittura di Espa, pastori e contadini, banditi e cantastorie, prelati e maestri, tutti partecipano ad un universo di valori sardi nel senso preromano del termine; universo che emerge ora attraverso fantasie o recuperi memoriali, nei racconti; ora attraverso l’analisi scientifica di doculmenti della cultura orale ancora agente, nei proverbi e nelle Cantones raccolte dalla viva voce dei novantenni. Espa però non si è limitato alla varietà del sardo-barbaricino ben sapendo che la complessità della cultura sarda è anche nella pluralità dei suoi dialetti. Così le indagini creazioni fantastiche di Espa hanno sconfinato nell’area del Campidano e del Logudoro. Sarà un caso, ma anche le sue tre raccolte di racconti sono pubblicata la prima a Cagliari, la seconda a Nuoro e la terza a Sassari.
Non è nostro compito disquisire sulla specificità del lavoro scientifico condotto da Espa, ma ci pare che la conoscenza di tale ricerca sul campo sia imprescindibile come discorso a monte per affrontare le tematiche della sua narrativa.
Infatti buona parte del fascino del raccontare di Enzo Espa sta nel sottilissimo limite esistente tra la fantasia
la realtà , tra l’inventare spudorato e il riferire leggende, personaggi, fatti emersi dalla tradizione popolare più vera. insomma, il lettore vede evocato un mondo di cultura « altra » , più profondamente sarda, sempre presentato come frutto di conoscenza personale. Soltanto quando alcune spie strutturali Io permettono, il lettore si avvede dell’invenzione. Eppure essa e, magari, incorniciata e motivata da descrizioni di credenze popolari, feste religiose, leggende conosciute da tutta l’area sarda.
La fusione tra finzione e realtà è raggiunta anche grazie all’utilizzo di un personaggio-narratore che presenta le vicende in prima persona. E vero che il racconto popolare ha bisogno, per sua stessa natura, di un
« cantastorie » che lo presenti e si riconosca nella cultura dei destinatari; ma nella scrittura di Espa questo narratore ha quasi sempre alcuni tratti emergenti propri dell’autore. E un alter-ego neppure celato. Svolge anche la funzione di attestare un meccanismo linguistico quasi conativo che ne richieda l’attenzione. Anche ciò è espediente del racconto popolare ed in Espa risulta spesso provocatorio per « passare » meglio contenuti allotri rispetto alla cultura nazionale. Per ricordare tali contenuti dovremmo riassumere tutti i racconti, oppure raggrupparli per argomenti unitari:
così i racconti di magia, di relazione, di fatti storico epici, di mitologia familiare e/o personale, di usanze, ecc.

Oppure una tipologia dei racconti sardi di Espa potrebbe accordarsi intorno ai personaggi via via. protagonisti, così racconti dei ricchi e dei proprietari, dei poveri e dei pastori, degli ecclesiastici, degli ubriaconi, dei vagabondi, delle donne « perdute » ; dei banditi, ecc.
Tutto questo universo narrativo in cui il privato personale è intrecciato tanto strettamente al pubblico-etnico da non permettere più distinzione o iati, potrebbe essere ricomposto intorno a tre vettori tematici: la solitudine, il fatalismo e la visione magica del mondo. Già Marco Aimo presentando i Racconti nuoresi soffermava l’attenzione su « il senso del destino, la sorte, le sventure, la solitudine, soprattutto la solitudine ».
Sia i protagonisti delle storie, sia il personaggio narratore sono immersi in un senso angoscioso di impotenza nei confronti di una Volontà che ha deciso tutto, soprattutto la solitudine sia geografica sia esistenziale. E l’anima pare, a volte, non abbia come interlocutore che la Natura che si anima, vive una vita esoterica per cui può aprire un dialogo con l’uomo: il pastore
re del silenzio (come lo definì Sebastiano Satta), ma anche il Bandito, il Cantastorie, il personaggio- narratore. Espa dopo aver narrato dell’accabbadora (la Signora che visita i moribondi), di S. Andrea che mozza le mani ai ribaldi, dello spazio sacro della casa e di tantissime altre realtà culturali della gente sarda, con l’ultimo libro, Il Pastore e Caterina, tenta anche un diverso registro: quello più « cittadino » e quotidiano, meno « fantastico » , di chi si è immesso nella cultura nazionale per meglio capirla, senza tradire se stesso.
Comunque Enzo Espa rimane soprattutto narratore di cose sarde in quanto ha coscienza che solamente la parola scritta può salvare dalla dimenticanza il patrimonio della cultura popolare sarda, cultura orale. E così, con una solitudine interiore e morale che lo accomuna a molti dei suoi personaggi, Espa passa senza compromissioni nel mondo degli
« altri » , riconoscendo ed essendo riconosciuto da quel popolo sardo che forse, ormai, vive solo nei suoi racconti.
Neria de Giovanni



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